La teoria del Mercato Efficiente di Eugene Fama
Qual è il mercato realmente efficiente? Una domanda che deve avere una risposta ineludibile, soprattutto se si parla di finanza, settore in cui non di rado l'opinione pubblica si trova alla prese con notizie di clamorose manipolazioni, come quelle sanzionate a più riprese dal governo statunitense in relazione alla crisi dei mutui subprime dalla quale è poi scaturita la crisi globale da cui buona parte del mondo ancora non è fuoriuscita. Soltanto se si riuscirà a dare una risposta positiva all'ansia di chiarezza e alle esigenze di trasparenza provenienti da più parti, infatti, i piccoli risparmiatori continueranno a rivolgere il loro sguardo alla Borsa e ai mercati finanziari, invece di concludere che è meglio puntare ad altre forme di investimento in cui il pericolo di essere tosati sia meno evidente.
Chi è Eugene Fama
La domanda posta all'inizio non è del resto nuova, se si pensa che all'inizio degli anni sessanta, un giovane e brillante studente universitario di Boston dalle chiare ascendenze tricolori, Eugene Fama, aveva deciso di spendersi per cercare di capire se i mercati finanziari fossero in grado di mettere tutti i competitori, grandi e piccoli, nelle stesse condizioni di partenza, ovvero di garantire a tutti gli investitori le stesse identiche informazioni, permettendo ai titoli di essere prezzati perfettamente sulla base di questi dati.
Eugene Fama lavorava all'epoca per una piccola casa editrice, che gli aveva demandato il compito di analizzare i dati dei mercati finanziari per cercare di trarre delle indicazioni di acquisto o vendita sui titoli. Un lavoro in cui si era trovato di fronte a grandi difficoltà, tali da generare frustrazione, dalla quale però decise di gettarsi nello studio dell'economia, all'interno dell'Università di Chicago, ove infine riuscì a conseguire un Ph.D nel 1965.
La teoria del mercato efficiente
Proprio la tesi di dottorato di Fama portò alla definizione della "Teoria del Mercato Efficiente", pubblicata nel gennaio del 1965 dal "Journal of Business", un lavoro di settanta pagine, il cui titolo era "The Behavior of Stock Market Prices". A distanza di nove mesi, una sintesi della tesi di dottorato venne poi pubblicata sul "Financial Analysts Journal" col titolo "Random Walks in Stock Market Prices".
Secondo Fama, in considerazione dell'utilizzo di ingenti risorse da parte delle società di brokeraggio con il preciso fine di condurre approfonditi studi sui trend nell'industria, sui bilanci aziendali, sugli effetti delle variazioni dei tassi e sulle aspettative di managers, politici e altre figure istituzionali o meno, gli analisti di queste società avrebbero dovuto essere in grado di battere in maniera pressochè sistematica un portafoglio titoli generico, contrassegnato dalle stesse caratteristiche di rischio.
La tesi di Fama è che in ogni situazione l'analista possiede il cinquanta percento di probabilità di battere il mercato e, in particolare, non sarebbe in grado di batterlo regolarmente. Proprio per questo motivo sarebbe molto più indicato adottare una strategia passiva, optando per il portafoglio di mercato. Secondo l'economista, l'analista nei fatti aiuterebbe il mercato a restare efficiente: se infatti tutti gli investitori detenessero portafogli costituiti da indici azionari, verrebbero ad aprirsi ghiotte opportunità per i traders più accorti, i quali potrebbero evidentemente avvantaggiarsi della situazione. Proprio il movimento degli investitori in direzione delle nuove opportunità in fase di creazione, renderebbe possibile la scomparsa del vantaggio, portando quindi ad una conferma della "Efficient Market Theory" di Fama.
Lo studio di Fama andava in sostanza a confermare una serie di ipotesi formulate in precedenza, come la "Random Walk Theory" dei prezzi azionari già ipotizzata da autori quali Louis Bachelier, Holbrook Working, Alfred Cowles, Clive Granger e Oskar Morgenstern, negli anni tra il 1900 e il 1963. Ai quali nel 1965 si sarebbero aggiunti appunto lui e Paul Samuelson. Il valore aggiunto della sua teoria consiste soprattutto in un approccio statistico-matematico più rigoroso e in una maggiore potenza espositiva, tale da concretizzarsi in una vera e propria rivoluzione per la finanza, almeno per il tempo in cui lo studio fu redatto.
Tre ipotesi ben distinte
In un secondo momento, ovvero nel 1970, Fama integrò il suo report formulando tre diverse ipotesi in merito all'efficienza dei mercati.
Weak Hypothesis: forma debole
Nella prima ipotesi, un mercato sarebbe efficiente in forma debole nel caso in cui i prezzi vadano ad incorporare tutte le notizie che possono essere desunte dal mercato. Il caso classico è quello rappresentato dall'esistenza di un andamento stagionale dei prezzi, con il mercato pronto a captare immediatamente il fenomeno e ad adeguarsi. Se il mercato è realmente efficiente, di conseguenza, proprio il prezzo sta a testimoniarlo.
Semi-Strong Hypothesis: forma semi forte
Ove invece l'analisi del flusso di informazioni disponibili venga allargato alle informazioni di carattere pubblico, l'efficienza del mercato si realizza in forma semi-forte. Proprio le notizie come i dividendi distribuiti dalle aziende agli azionisti o i profitti conseguiti dalle stesse, nel momento in cui diventano di pubblico dominio, sono già incorporate nel prezzo. Operare perciò sulla base di queste informazioni non consente di battere il mercato, ma soltanto di seguirne il trend.
Strong Hypothesis: forma forte
Infine l'efficienza in forma forte, la quale viene a realizzarsi quando tutti gli investitori vengano a disporre delle stesse informazioni, condizione che metterebbe tutti sullo stesso piano. In questa ipotesi, infatti, la mancanza di informazioni privilegiate fa sì che l'informazione giunga a pioggia sul mercato, impedendo la formazione di posizioni di rendita derivanti dal possesso di dati che altri non possono avere.
La contestazione della teoria
L'ipotesi formulata da Eugene Fama ebbe grande successo negli anni successivi alla sua teorizzazione. Nel corso degli ultimi due decenni, però, sono iniziate le contestazioni. determinate dal fatto che secondo i detrattori, alcune forze su cui l'ipotesi dell'efficienza dei mercati aveva basato la sua ragion d'essere, come ad esempio l'arbitraggio, si sono svelate a gioco lungo assai più deboli del previsto. Una contestazione che ha poi portato alla nascita della finanza comportamentale, la quale ha promosso una visione nella quale il mercato può allontanarsi anche in maniera significativa e duratura dall'efficienza teorizzata da Eugene Fama.
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