Le possibili implicazioni della crisi libica sul trading online
Se l'attenzione della comunità internazionale è concentrata sullo Yemen e in genere sullo scacchiere mediorientale, vi sono altre situazioni calde che dovrebbero forse essere monitorate con maggior attenzione, soprattutto da chi opera ogni giorno sul mercato dei cambi. Uno di questi settori è quello libico, entrato in una situazione di forte instabilità dopo la drammatica fine del regime di Gheddafi, dopo il quale non è stato più possibile assicurare una transizione ordinata verso forme di governo democratiche. Con il tardivo mea culpa di chi, pure, si è adoperato per affrettare la fine della dittatura, senza però predisporre gli strumenti più adeguati per preparare la pace.
Cosa sta accadendo in Libia
Stranamente, gli avvenimenti in Libia non sembrano preoccupare in modo particolare il mercato azionario né quello valutario. L'entrata dell'ISIS sul territorio libico e la conquista di snodi strategicamente importantissimi come Sirte e Bengasi, non ha infatti provocato particolari movimenti sui due mercati, ad onta di quanto pure era tenuto dagli analisti.
Naturalmente, la preoccupazione maggiore è quella che riguarda la possibile manomissione dei gasdotti attraverso il quale il gas libico arriva in Italia. Ove ciò dovesse succedere, il nostro paese verrebbe a trovarsi in una situazione abbastanza complicata, stante l'importanza dei gasdotti libici per il nostro sistema energetico, già sottoposto a tensioni dovute agli avvenimenti ucraini.
L'importanza del gasdotto Greenstream
L'impianto più importante in assoluto, nella zona sottoposta alle tensioni, è quello lungo oltre cinquecento chilometri che collega il nostro paese alla Libia, denominato Greenstream. Si tratta di un gasdotto in attività ormai dal 2004 e che fu oggetto di lavori durati appena sei mesi, ad opera di Saipem, con un costo complessivo di sette miliardi, di cui oltre la metà messi da ENI. Greenstream, infatti, è gestito in concorso da ENI, che ne detiene il 75%, e da NOC, cui fa riferimento il restante 25%, tramite una joint-venture, la Western Lybian Gas Projects, integrata nel sistema di trasporto del gas libico Libyan Gas Trasmission System. Il gas oggetto del trasporto è quello estratto a Wafa nel deserto, nell'entroterra situato al confine con l'Algeria e a Bahr Essalam, in mare, il quale arriva a Gela, per poi essere riversato su tutto il territorio italiano.
I riflessi sul mercato
La situazione della Libia è al momento molto confusa. Se in effetti alcuni dei punti cruciali, in particolare l'aeroporto di Tripoli, i giacimenti e gli impianti collegati alla produzione e all'estrazione del gas, sembrano ancora al sicuro, sussistono ancora timori che la bandiera di ISIS possa presto metterli in situazione di pericolo. Ove ciò accadesse, proprio ENI potrebbe risentirne non poco.
Considerato che sono molti i piccoli trader interessati alle sorti dell'azienda, è del tutto logico che l'evolversi della situazione desti non poca preoccupazione, anche se il titolo dell'azienda non sembra in questo momento risentire particolarmente di quanto sta accadendo. Se quindi per il momento, non vi sono particolari tensioni su nessun tipo di mercato, l'allerta degli operatori resta molto alta.
Cosa sta facendo l'Italia
Il nostro governo, dopo le parole del ministro degli esteri Gentiloni, che aveva addirittura prefigurato un intervento armato, attende una risposta dalle Nazioni Unite, per capire come comportarsi in un'area che del resto è già stata ampiamente destabilizzata dagli avvenimenti che hanno portato alla caduta di Gheddafi.
L'Egitto ha invece deciso di tenere un profilo meno accomodante, inviando i propri caccia sulle città occupate dalle milizie islamiste, anche perché l'ISIS ha, come è ormai sua funesta consuetudine, dato luogo ad atti efferati a danno di numerosi copti egiziani. Una reazione sulla falsariga di quella adottata dalla Giordania dopo l'uccisione di un suo pilota. Come l'Italia, anche gli altri paesi occidentali sono in attesa delle decisioni dell'ONU, mentre Gentiloni torna a far sentire la sua voce per un intervento militare.
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